Tema | PAESAGGIO E TERRITORIO | Michele Roda – 20 Marzo 2018 | RdA14

Tra abusivismo e cementificazione.

Due fenomeni complementari dello stesso, analogo, disprezzo per i nostri paesaggi. Unici fatti territoriali a penetrare, seppur raramente, nel dibattito pubblico, vengono raccontati nei loro impatti anche politici in due recenti pubblicazioni


Territori dell’abusivismo Vista mare hanno una parabola parallela. Entrambi sono frutto di ricerche: di natura accademica la prima, maggiormente orientata verso l’associazionismo la seconda. Li firmano architetti: Francesco CurciEnrico Formato e Federico Zanfi sono docenti (Politecnico di Milano e Università Federico II di Napoli), Edoardo Zanchini e Michele Manigrasso invece sono legati a Legambiente, di cui Zanchini è vicepresidente.

I volumi, pubblicati a fine 2017 (il primo da Donzelli, il secondo da Edizioni Ambiente), sono organizzati in tre parti; sfondo teoricoatlante di luoghi-simbolo e temi di innovazione per Territori dell’abusivismo; metodo di analisi, confronti grafici e sguardi per Vista mare. Sono entrambi aggiornati – sia nei dati che nei fatti – ma assumono come costante riferimento due leggi che 33 anni fa (era il 1985) hanno rivoluzionato il concetto stesso di territorio in Italia: il condono edilizio a febbraio e la legge Galasso ad agosto (dal nome del suo proponente Giuseppe Galasso, morto nel febbraio scorso). C’è poi l’ultima analogia che chiarisce l’oggetto dello sguardo. Il volume Donzelli si concentra sul sud Italia: i 14 casi-studio sono un “atlante aperto”, costruito attraverso una call, tra Campania (6 esempi), Sicilia (3), Puglia (3), Sardegna (1) e Calabria (1). Tutti casi che si affacciano su quelle coste del Mediterraneo, descritte da Zanchini e Manigrasso, dove si concentrano i fenomeni insediativi (regolari insieme a quelli abusivi) più squilibrati.

Per il resto l’impostazione è significativamente diversa. Il lavoro di Curci, Formato e Zanfi (con altri 34 autori) è un “racconto corale” che affida al testo scritto una descrizione profonda, intensa e sfaccettata dell’abusivismo edilizio. L’occasione è una rete di ricerca sostenuta dalla Società italiana degli urbanisti (SIU) da cui il fenomeno emerge come esito di una sorta di «patto sociale non scritto risalente agli anni settanta». Oggi – gli abusi calano, ma proporzionalmente meno dell’edilizia regolata – è quasi scontato osservare i suoi effetti distorti: un territorio con alti tassi di abusivismo è solitamente «malamente infrastrutturato, inquinato nel suolo e nelle acque, impoverito delle ricchezze ambientali», e produce «luoghi dell’insoddisfazione, dell’inefficienza, del degrado e della svalutazione, oltre che dell’illegalità». Nelle parole di Cristina Bianchetti «lo stesso abusivismo diventa un oggetto metaforico: una zona opaca che incorpora usi, valori, forme di appropriazione e di consumo attorno all’abitare. Spesso in un rapporto autodistruttivo tra costruito e natura». I casi studio raccontano anche i risvolti sociali e politici, mentre la terza parte veicola un messaggio: finita l’epoca delle emergenze è urgente considerare il fenomeno come un problema nazionale e non solo locale, che coinvolge anche luoghi dalla vocazione turistica. Le demolizioni sono solo una parte del percorso perché, come scrivono Arturo Lanzani e Michelangelo Russo nella postfazione, «deve essere chiaro che la demolizione è un progetto, una pratica che deve interrogarsi sulla configurazione del suolo dopo la demolizione, che non sarà mai esattamente e naturalmente quella preesistente all’abuso».

Le immagini, piccole e in bianco e nero, lasciano spazio al colore e al grande formato di Vista mare, frutto di una ricerca iniziata nel 2012. Sono fotografie evocative ma soprattutto immagini satellitari dei 6.477 km di coste marine italiane. Qui, in 12 diverse regioni, vivono oltre 18 milioni di persone (con tassi di crescita superiori alle aree interne e con paesi dove in estate la popolazione è anche 10 volte superiore a quella residente). L’analisi dice che il 51% delle coste è artificializzato – con agglomerazioni spesso senza forma (città lineari in cui l’unica ragione sembra essere il contatto con il mare) – e che dal 1988 ad oggi ogni anno 13 km di waterfront vengono cementificati. Il libro è prima di tutto una denuncia dei risvolti urbanistici e ambientali, ma anche un più complesso ragionamento sulle cause. Lo scrive Angela Barbanente (Politecnico di Bari): «La sfida della nuova pianificazione paesaggistica consiste nel superare i retaggi di una concezione della tutela che ha generato arcipelaghi di vincoli spesso circondati da un mare di degrado». Essendo quindi un problema di sistema, la svolta può avvenire certamente da nuove norme ma anche da casi virtuosi: così il testo finale è simbolicamente affidato a Roberto Tola, sindaco di Posada, piccolo paese sardo che ha saputo difendere la propria “vista mare” acquisendo alla proprietà pubblica il Monte Orvile per difenderlo dalla cementificazione.