Tema | URBANISTICA | Marco Adriano Perletti – 8 Novembre 2018 | RdA17

Due pubblicazioni portano l’attenzione sul vero significato dell’espressione “consumo di suolo”, attraverso un ricettario urbanistico e un rapporto sul campo.

Nel linguaggio contemporaneo l’espressione “consumo di suolo” ha ormai raggiunto la soglia dell’uso corrente, anche se spesso sfugge il suo vero significato e la portata delle sue conseguenze. Due testi recenti affrontano il tema da angolazioni diverse e portano alla luce, da un lato, complessità e contraddizioni della normativa urbanistica italiana e, dall’altro, il risultato dei monitoraggi sul consumo del nostro territorio.


Per fare chiarezza sul concetto di consumo di suolo e per mettere in guardia sulle trappole linguistiche che spesso lo accompagnano, Paolo Pileri ha scritto un libro che ha l’obiettivo di fornire uno strumento di conoscenzada mettere nelle mani di tutti. Come nel precedente Che cosa c’è sotto. Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo (2016), l’autore sostiene che chiunque abbia a cuore una risorsa non rinnovabile come il suolo, dai cittadini agli amministratori, deve essere in grado di districarsi nel folto e aggrovigliato lessico urbanistico italiano. Docente del Politecnico di Milano e consulente di enti pubblici ai vari livelli, Pileri ricorda che «smettere di consumare suolo significa prendersi cura del bene di tutti». Il suo “dizionario” non è un manuale per tecnici o studenti ma è un tentativo di «tradurre alcune parole dell’urbanistica» analizzando 100 definizioni essenziali, per evitare la trappola dell’ambiguità e dell’incomprensione. In un paese come il nostro che ha una sovrabbondanza di leggi con il conseguente groviglio di vocaboli tecnici, spesso vediamo norme che si calpestano a vicenda e ingenerano disorientamento. L’urbanistica è molto rappresentativa di questa bolgia normativa e con l’andare degli anni si esprime come una «lingua straniera con 8.000 dialetti»Pileri sottolinea come in ogni Regione ci sia una legge urbanistica diversa a cui si aggiungono norme di piani e regolamenti dei Comuni. Le tabelle riportate nel testo comparano le tante leggi regionali a partire da alcune semplici definizioni (che cos’è il “suolo” e il “consumo di suolo”, cosa s’intende per “compensazione ambientale”) e le differenze che emergono sono molto eloquenti. E alla confusione e poca chiarezza normativa si aggiunge la complessità del linguaggio usato che non aiuta la comprensione dei molti. Per contrastare questa tendenza il libro solleva una questione culturale fondamentale – «parliamo chiaro se vogliamo salvare il suolo»- mettendo in evidenza il problema dell’incomunicabilità di una lingua tecnica che sembra fatta per essere comprensibile a pochi. E, citando Noam Chomsky, viene ricordato che «parlare in modo complicato, utilizzare parole difficili sta a segnalare che si fa parte dei privilegiati. […] Ma bisogna chiedersi se tutti quei discorsi hanno un contenuto, se non si riesce a dire la stessa cosa con parole semplici. È quasi sempre possibile».

Il consumo di suolo registrato in Italia nell’ultimo anno è cresciuto con una media di circa 15 ettari al giorno. In termini assoluti nel 2017 sono stati consumati 52 kmq e il rallentamento registrato per la prima volta dieci anni fa è già di fatto superato. Questa lapidaria verità è contenuta nell’ultima edizione del Rapporto annuale che ISPRA(Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e SNPA(Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) elaborano da cinque anni a questa parte. Il documento è liberamente consultabile online e fornisce uno spaccato completo e dettagliato dei processi di trasformazione in atto nel nostro Paese. Attraverso analisi e saggi di carattere scientifico vengono evidenziate caratteristiche e tendenze di un fenomeno che causa la perdita di quella risorsa ambientale, fondamentale e non rinnovabile, che è costituita dal suolo naturale e agricolo.

L’Europa, lo ricordiamo, ha richiamato gli stati membri alla tutela del suolo e ha chiesto di azzerarne il consumo entro il 2050. In Italia l’artificializzazione del territorio è passata dal 2,7%, stimato negli anni ’50 dello scorso secolo, al 7,65% del 2017, con una crescita percentuale di più del 180% (in termini assoluti sono stati consumati 23.063 kmq di territorio). In questo scenario l’attività costante di monitoraggio di ISPRA e SNPA ha un importante ruolo “sentinella”, come sottolineato dal presidente Stefano Laporta, e questo aspetto «è fondamentale soprattutto in questa fase di attesa di una normativa nazionale compiuta, che riprenderà ora il proprio cammino in questa legislatura»Il consumo di suolo nazionale non si ferma ma, anzi, come ricorda Laporta «i dati di quest’anno mostrano ancora la criticità nelle zone periurbane e urbane a bassa densità, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali». Le aree più colpite sono le pianure del Nord, l’asse toscano tra Firenze e Pisa, il Lazio, la Campania e il Salento, le principali aree metropolitane, le fasce costiere come l’adriatica, la ligure, la campana e siciliana. L’anno scorso 15 regioni hanno superato il 5% di consumo di suolo e il valore più elevato spetta alla Lombardia (che arriva a sfiorare il 13%), seguita da Veneto (12,35%) e Campania (10,36%). Il territorio lombardo detiene anche il primato in termini assoluti, con oltre 310.000 ettari di superfici trasformate. Un aspetto che emerge con evidenza è che non c’è più correlazione diretta tra demografia e processi di urbanizzazione, perché le aree urbane crescono anche in presenza di stabilità o decrescita della popolazione residente.

Nel report di quest’anno ISPRA pone l’accento sull’importanza del suolo come fornitore di servizi ecosistemici e come un bene comune da preservare per la sua importanza ambientale. Per contro, l’impatto dell’artificializzazione e frammentazione porta alla conseguente riduzione della connettività ecologica e a un peso economico che la società deve sopportare. L’analisi del flusso di servizi ecosistemici indica infatti che l’impatto economico del consumo di suolo produce in Italia perdite annuali rilevanti che, guarda caso, hanno il valore più significativo associato all’eco-servizio di regolazione del regime idrologico. La stima dei costi totali della perdita di servizi ecosistemici riportata da ISPRA varia da un minimo di 1,66 a un massimo di 2,13 miliardi di euro scialacquati ogni anno a causa dell’aumento di suolo consumato. E per questo motivo limitare il detrimento dei suoli naturali è l’inevitabile premessa per una ripresa economica sostenibile che, in un paese dagli equilibri fragili come l’Italia, assume un significato ancora più importante.