Tema | CITTÀ | Michele Roda – 27 Maggio 2017 | RdA6

Il linguaggio della città di oggi e i suoi possibili domani.

Due volumi raccontano e propongono visioni sulla città: dal “manuale” di Deyan Sudjic al “manifesto” di Carlo Ratti e Matthew Claudel.

Sensori, reti, programmatori da una parte. Monumenti, società, politiche dall’altra. Nessun dubbio sul fatto che nelle città si giochi il nostro futuro. Ma su cosa rappresentino oggi ci sono gli approcci più diversi. Due libri ne raccontano gli estremi, in parte alternativi in parte complementari. Perché la complessità del tema urbano deriva proprio dal sovrapporsi delle interpretazioni: quella di Carlo Ratti, insieme a Matthew Claudel, racconta una città modellata dai flussi di informazione, interferita da una virtualità capace di plasmare la fisicità. Più ancorate nella tradizione disciplinare sono invece le città di Deyan Sudjic, articolati esiti di incontri e conflitti che si materializzano in luoghi ed edifici.

La lingua per entrambi è l’inglese. Ma c’è tanta Italia nei 2 testi: aspetto scontato per Ratti, torinese che ha trovato la sua America al MIT. Londra è invece luogo di ricerca e di costante riferimento per Sudjic, che però precisa di aver scritto gran parte del testo in una fattoria toscana «a mezz’ora dal Palazzo Pubblico di Siena, un’occasione per spendere del tempo contemplando il famoso affresco di Ambrogio Lorenzetti, L’Allegoria del Buono e del Cattivo Governo». Proprio gli aspetti politici – elementi fondamentali di costruzione della città – riecheggiano in “The Language of Cities”. Strutturato in 6 capitoli, si apre con un questione “Cosa è una città” a cui Sudjic dà una risposta spiazzante: «Città è una parola che si usa per descrivere sostanzialmente tutto». Un manualetto – teso tra storia e attualità (come le vicende di Gezi Park ad Istanbul) – che si muove con agilità, e qualche collegamento ardito, tra aneddoti, suggestioni, fatti urbani raccontati con taglio giornalistico. Se Londra è il caso studio esemplare, Sudjic spazia in un orizzonte enorme: di luoghi (dalla Lagos di Koolhaas alla Silicon Valley) ma anche di figure che in campi diversi hanno segnato la storia urbana: da Walt Disney al regista Anthony Minghella. Un collage di situazioni che si ritrova dall’apparato iconografico: 55 immagini in bianco e nero, molte sono metropoli riprese dall’alto. Ma non mancano facce e persone.

Il messaggio finale («Una città di successo è un’entità che si riconfigura continuamente, cambiando la sua struttura sociale e il suo significato, anche se le forme non sembrano mutare») è quasi un assist al lavoro di Ratti e Claudel che già nel titolo (“The City of Tomorrow. Sensors, Networks, Hackers, and the Future of Urban Life”) dichiara un punto di vista alternativo. Meno manuale e più manifesto, dove Sudjic racconta, Ratti propone visioni per una città immaginata prima ancora che immaginaria. Attraverso un repertorio di dati e analisi, ma anche di immagini dove proprio la città reale sembra dissolversi. Gli 11 capitoli – divisi in 4 parti – sono uno slalom, spesso spericolato, tra flussi, bits, informazioni, dati, virtualità. Così anche le figure attingono al repertorio dell’informatica e della tecnologia. Il crinale su cui si sviluppa il testo è proprio nella forza della rivoluzione digitale «in procinto di essere la trasformazione più radicalmente distruttiva del nostro ambiente costruito» di concretizzarsi anche con modifiche della consistenza fisica dei luoghi. La posizione di Ratti si esprime proprio in una logica di duplice interazione («La rivoluzione digitale non ha ucciso gli spazi urbani – anzi è molto lontana da questo – ma nemmeno li ha lasciati immutati») che deve essere il nuovo orizzonte di ragionamento di urbanisti e architetti. Emerge una città dai contorni sfumati: «semplicemente una piattaforma e un amplificatore di cui ci si può servire per qualsiasi finalità», la conclusione di Ratti. Infinitamente piccolo e infinitamente grande, infinitamente lento e infinitamente veloce si mischiano in queste nuove strane realtà. Megalopoli da 40 milioni di abitanti o condensatori di relazioni che stanno nella memoria di un tablet, le città oggi esprimono un senso di inesplorato che Sudjic sintetizza così: “Non abbiamo nessuna esperienza abbastanza lunga per capire come queste città possano funzionare”.