Tema | ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Michele Roda – 15 Marzo 2017 | RdA3

Italomodern. 30 anni di Architettura Italiana in 216 progetti.

Due volumi descrivono il secondo Moderno in Nord Italia con un originale sguardo da oltreconfine, tra forma degli edifici e ricerca dello spazio.

Nel titolo – che è un po’ uno slogan, ITALOMODERN – c’è il senso di un lavoro ricco e a suo modo definitivo sul secondo Moderno in Italia. La recente pubblicazione, della casa editrice svizzera Park Books, dei 2 volumi in inglese (dopo la versione tedesca) è un “regalo” per gli appassionati del tema. Perché i volumi – importanti anche dal punto di vista quantitativo (352 pagine il primo, 552 il secondo) – hanno il merito di guardare al periodo 1946-1976 da una prospettiva particolare. Innanzitutto geografica: Martin e Werner Feiersinger, gli autori, sono austriaci. Come austriaci sono Arno Ritter, che firma l’introduzione, e Otto Kapfinger, a cui invece è delegato l’unico saggio. E’ uno sguardo da nord, quindi, quello che si concentra su opere più o meno note del dopoguerra italiano.

Ritter racconta che l’idea nasce nel 2004. Di ritorno da un viaggio in Francia sulle tracce di Le Corbusier, i fratelli Feiersinger si fermano a Milano per visitare la chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate, nell’hinterland, progetto di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti. E’ una specie di epifania che li spinge «a sperimentare fisicamente gli edifici nell’ambiente attuale» e trasforma una passione nelle mostre, del 2012 e nel 2015, di Innnsbruck, nella galleria Aut.architektur und Tirol. La prima è stata anche in Italia, nel 2014 a Bergamo.

L’originalità del contributo – che differenzia i due volumi da tante pubblicazioni analoghe – sta soprattutto nell’integrazione disciplinare, incarnata dai fratelli Feiersinger. Werner è scultore, Martin architetto. E nella presentazione dei progetti (84 nel primo volume, 132 nel secondo) tali specificità si ritrovano «con la qualità scultorea degli edifici, la materialità, le diverse superfici e, dall’altro lato, con la forma dello spazio, il concetto funzionale e l’integrazione con l’intorno».

Il risultato è un ampio atlante di «singolari, ambivalenti manifestazioni di architetture sperimentali, anche se non spettacolari», come scrive ancora Ritter: a fianco di edifici simbolo del Moderno italiano (e progettisti tra i più noti: da Franco Albini ad Aldo Rossi) ci sono anche lavori semi-sconosciuti, scoperte frutto di percorsi eccentrici e non convenzionali, come scrive nel suo saggio costruito intorno ad otto note, Otto Kapfinger. L’ordine di catalogazione è esclusivamente cronologico. Non c’è ragione né tipologica, né di scala. Una giustapposizione, per certi versi casuale e non accademica, di opere che coprono geograficamente tutte le regioni settentrionali: da ovest (Sanremo) ad est (Trieste), da sud (Baratti) a nord (Longarone). Tutti i progettisti (43 in Italomodern 1105 in Italomodern 2) sono raccontati anche attraverso apparati – inframmezzati alle immagini con pagine colorate e carta non patinata – che ne sintetizzano la biografia e delineano i contorni attraverso una sintetica bibliografia.

Ogni scheda presenta un progetto. Il numero di pagine dedicate varia da 2 a 12. La prima raccoglie i dati dell’intervento ed una brevissima descrizione oltre ad un solo disegno (molto minimale, di Martin Feiersinger, pianta o sezione, che illustra i caratteri principali). A seguire le immagini fotografiche (a colori, tutte scattate da Werner durante i sopraluoghi) che inquadrano l’edificio nella sua attualità: non per forza quindi “belle” fotografie. Ma riprese – senza la presenza umana – che non tralasciano incongruenze e contraddizioni dell’architettura stessa o dell’ambiente che la circonda.

Un taglio inusuale che aiuta a recuperare, tra plasticità e spazialità, la dimensione di impegno politico e sociale che ha caratterizzato un periodo straordinario dell’architettura italiana.