Data di pubblicazione articolo: 22.10.2017
Tema | ARCHITETTURA CONTEMPORANEA | Emanuele Piccardo – 8 Maggio 2017 | RdA5
What will be the place? Cassina risponde.
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90 anni di storia aziendale celebrati con la mostra “Cassina 9.0” alla Fondazione Feltrinelli e una monografia curata da Felix Burrichter che esplora i comportamenti sociali contemporanei e il loro possibile impatto sul futuro degli interni.
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Sono già passati 90 anni dalla fondazione nel 1927 di Cassina, azienda che ha avuto il merito di produrre opere di Ponti, Scarpa, Albini, Magistretti, Zanuso, Pesce, Nouvel, Starck, Hadid e di mettere in produzione e ricostruire sedie e tavoli di Wright, Le Corbusier, Mackintosh, Rietveld… Il compleanno è stato festeggiato durante il Salone del Mobile di Milano con due iniziative: una mostra, “Cassina 9.0” alla Fondazione Feltrinelli, e un libro dal titolo emblematico “This will be the place”.
La mostra, curata da Patricia Urquiola, art director Cassina, ha messo in scena una serie di oggetti che mischiano il passato con il presente, dove è emersa con forza la ricostruzione del Refuge Tonneau, un rifugio alpino portatile progettato da Charlotte Perriand e Pierre Jeannaret nel 1938; una capsula metallica che materializza l’abitare minimo in condizioni estreme.
Il libro, curato da Felix Burrichter, scrittore e fondatore della rivista PIN-UP, è strutturato per celebrare il brand soprattutto nel passaggio tra prima parte e seconda della pubblicazione. Nella prima parte Burrichter pone alcune questioni interessanti come il rapporto tra la rivoluzione digitale e lo spazio della nostra quotidianità per definire nuovi modi di abitare. Come sarà la casa del futuro? Come potrebbe essere? Come potremmo sentirla? Per Konstantin Grcic «quando pensiamo al futuro lo immaginiamo secondo un cliché spesso legato alla tecnologia… all’opposto io lavoro in un’industria che è decisamente analogica». Ma la casa per Grcic deve avere elementi di rottura negli interni che apparentemente disturbano ma in realtà migliorano lo spazio. Ben diverso dal concetto espresso da Beatriz Colomina che elegge il letto come nuovo spazio del lavoro, supportando questa tesi con esempi storici noti: Proust, Truman Capote, Matisse. Oggi «con l’avvento dei nuovi media – afferma – in qualche modo, siamo diventati tutti autori. I nuovi media facilitano la possibilità di produrre a letto». Aggiungerei in qualsiasi luogo: dal bosco alla barca. L’aspetto tecnologico ritorna quando Colomina affronta la questione casa come rifugio in relazione agli immigrati per i quali, dopo cibo e acqua, la preoccupazione maggiore non è avere una casa o un letto bensì ricaricare il telefono. «Perciò il cellulare è una nuova forma di rifugio». All’opposto, le parole dell’architetto cinese Zhao Yangappaiono le più equilibrate sull’approccio progettuale. Le sue architetture, costruite nella zona rurale di Dali, dialogano con la storia locale senza «voler riportare il passato sullo sfondo… A volte usiamo materiali naturali perché sono adatti alla situazione», evitando così la trappola del vernacolare. Ma il discorso impostato da Burrichter sul futuro si fa più interessante nell’intervista all’architetto Arno Brandlhuber che lo contestualizza rispetto alla politica europea: «Dobbiamo pensare su scale diverse, dai contesti geo-politici generali all’oggetto individuale”. Però le domande sociali di Brandlhuber che riguardano il ruolo dell’architettura nel fornire una risposta alle esigenze degli immigrati rimangono isolate in un contesto, quello del design, che appare poco interessato a tali temi. E in un certo senso il libro ne è la riprova nel modo in cui viene strutturata la seconda parte, ovvero un catalogo di oggetti fotografati in ville storiche in stile “Architectural Digest”.