Data di pubblicazione articolo: 08.11.2017


Tema | CITTÀ | Michele Roda – 14 Febbraio 2018 | RdA12

Una città, molte città: la parola non si declina.

La pluralità del concetto di città è già nel suo nome: forse per questo sono molteplici i suoi possibili racconti. In una fase d’intensa trasformazione (tra data, bit e convivenze sempre più difficili) fiorisce la letteratura sul tema. Ecco una piccola mappa


Ci sono termini che tornano, nei cataloghi delle case editrici e sugli scaffali delle librerie. Smart City è una di queste. La interpretano in tanti: architetti, sociologi, innovatori. La usa anche Cesare De Seta nel suo testo Rizzoli: un’agile storia della città che in sei capitoli si muove «da Babilonia alla smart city» parlando di continuità («L’urbs muterà la sua immagine, ma c’è da augurarsi che non intacchi quell’universo urbano che ha retto ai secoli e in cui, con tutte le difficoltà che viviamo, quotidianamente si continua a vivere») e di trasformazioni («Questo mondo fino a un secolo e persino cinquanta anni fa era diviso tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud, tra paesi dominanti e colonie: oggi Nord e Sud convivono nello stesso Stato e nella stessa città, con una contiguità topografica che rende più atroce questa condizione di violento contrasto»). Emerge un approccio universalistico che è a suo modo una bussola nel mare magnum di una letteratura in costante aggiornamento.

Molto in voga è il racconto politico centrato su una città, con il nome in bella vista sulla copertina. Quasi esemplare è l’esperienza del sindaco di Milano Beppe Sala. Da poco ha pubblicato un libro sul modello Milano (tra successi recenti e delusioni) e per comunicare – non senza una buona dose di retorica – la sua attività di primo cittadino in una prospettiva precisa: è nelle città più grandi il vero laboratorio politico della nostra epoca. Il «secolo delle città»  è una citazione di Michael Bloomberg, sindaco di New York per due mandati. «Le città, – scrive Sala – grazie anche alla concentrazione delle risorse finanziarie, umane, tecnologiche e culturali, sono i luoghi più adatti per affrontare i grandi temi del nuovo sviluppo della Terra… Per queste ragioni la responsabilità si sta spostando dai governi alle città e probabilmente sarà sempre di più così».

Dalle immagini in parte propagandistiche di Milano alla Roma al culmine del disastro. Così la racconta il giornalista Vittorio Giacopini con il personaggio di Lucio Lunfardi. È un romanzo che con prosa ricercata struttura un percorso (in cinque tappe simbolicamente rappresentate da uccelli: passeracci, piccioni, storni, cornacchie, gabbiani) che dipinge una situazione tragica: l’unico rimedio è, nel piano surreale del protagonista, un’esondazione delle acque del Tevere (disegnate anche in copertina) capace di portare via glorie passate e attuali rovine. Il racconto è qui, anche e soprattutto, una denuncia sociale.

Un approccio e una prosa (molto sincopata) sperimentata anche da Davide Vargas, che si autodefinisce letterato-architetto. La sua città è Napoli, a cui dedica una guida sentimentale: gli undici capitoli sono altrettanti luoghi, dall’Orto Botanico a Sanità, raccontati attraverso pennellate e con una serie di schizzi e disegni a colori che tradiscono lo sguardo dell’architetto. Lo spirito è ben sintetizzato sulla quarta di copertina: «Hai mai pensato, insomma, che senza la scrittura del tuo viaggio la città semplicemente non esiste?».

Domanda a cui idealmente risponde Paolo Cognetti. Lui non è un progettista ma ha raccontato la metropolidove ha abitato per anni. New York è una finestra senza tende ha una prima edizione del 2010, ma Laterza lo ha ripubblicato, pochi mesi fa, sull’onda del Premio Strega vinto dall’autore per Le otto montagne. Anche questa è una guida, divisa in otto capitoli che corrispondono ad altrettanti quartieri. Il racconto è innanzitutto fortemente autobiografico (e bastano le prime righe del prologo per capirlo: «Non posso dimenticare il mio arrivo in città. L’estate dei venticinque anni, uno zaino pieno di libri come sedile, e la corriera che emerge dal buio del Lincoln Tunnel»). Il testo integra con naturalezza le descrizioni con riferimenti storici e sociali, le citazioni di scrittori, artisti e musicisti sono continui riferimenti per non perdersi.

Quella sensazione che invece manca nella Damasco di Suad Amiry, architetto palestinese. La città siriana è lo sfondo di un intricato romanzo famigliare. I suoi personaggi non sarebbero gli stessi senza un legame strettissimo con il luogo che vivono: «Mentre papà era lineare all’eccesso, il carattere della mamma era tutto curve, tortuoso come le viuzze della sua città».