Data di pubblicazione articolo: 29.10.2017
Tema | TECNOLOGIA – MAESTRI DELL’ARCHITETTURA | Michele Roda – 18 Luglio 2017 | RdA9
Il Cemento tra passato e futuro.
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Da emblema della modernità in architettura a metafora della speculazione edilizia, il cemento è protagonista di due pubblicazioni che ne raccontano un secolo di storia, da Pier Luigi Nervi al domani.
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Esattamente 100 anni fa, era l’aprile del 1917, Pier Luigi Nervi brevettava il “conglomerato cementizio rinforzato da elementi metallici uniformemente distribuiti nell’impasto”. Una delle felici intuizioni dell’ingegnere allora 26enne ma soprattutto un momento, a suo modo simbolico, che apre il Novecento: il cemento segnerà infatti buona parte del secolo.
Un libro – edito da EPFL Press, in inglese anche se scritto dagli studiosi italiani Roberto Gargiani e Alberto Bologna – utilizza proprio l’esperienza di Nervi per descrivere l’indissolubile legame tra tecnica e forma, tra sperimentazione e immagine. Binomi che non si esauriscono nella ricerca storica, come suggerisce la seconda pubblicazione, edita da Skira e curata da Carmen Andriani: Cemento futuro, il titolo, è una dichiarazione programmatica che dalla storia si muove per comporre un discorso articolato sull’attualità dell’uso del materiale stesso.
Leggere insieme i due volumi permette uno sdoppiamento del punto di vista. Il primo sguardo, quello di Gargiani e Bologna, è insieme storico e tecnologico-costruttivo. I 14 capitoli di cui si compone l’elegante pubblicazione non approfondiscono tanto la figura di Nervi, quanto invece le sue costruzioni. Emergono, come protagoniste indiscusse, le forme architettoniche – ardite, monumentali o sorprendenti – rese possibili dalle innovazioni tecniche: dallo stadio di Firenze (1933) ai progetti degli anni ’70, è un racconto cronologico, rigoroso e dettagliato, le cui fonti principali sono i documenti di progetto e di cantiere. Anche le immagini (in tutto oltre 550) indugiano poco sulla spettacolarizzazione estetica, restituendo invece – insieme ai disegni, alcuni inediti, frutto di ricerche d’archivio – le fasi costruttive. Le uniche figure umane presenti sono i lavoratori impegnati a posizionare ferri di armatura o a montare casseri, spesso piccole silhouette che sottolineano, con il salto di scala, la grandiosità degli spazi progettati da Nervi. Anche i testi rispondono a un criterio di ricerca scientifica, in una collana dedicata specificatamente al cemento e ai suoi progettisti più illustri.
Gioca invece sull’eterogeneità, tanto dei contributi (19 autori, tra cui figurano anche Bologna e Gargiani) quanto dei punti di vista, Andriani. Il testo da lei curato, bilingue, è sostenuto da AITEC (Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento) e ha una vocazione in qualche modo politica. Il punto di partenza è chiaramente espresso nell’introduzione: “Il cemento è il materiale più usato al mondo dopo l’acqua, ma è flagellato da un pregiudizio. Identificato spesso come responsabile del degrado ambientale o della speculazione immobiliare (cementificazione è il suo dispregiativo), deve anche fronteggiare, nel nuovo millennio, la competitività dei materiali compositi o plastici, l’aspirazione alla leggerezza dell’architettura contemporanea, il concetto di spazialità fluida che le tecnologie digitali consentono di prefigurare”. La ricerca tecnologica, i nuovi brevetti (raccontati anche con interviste), le sperimentazioni artistiche, la sostenibilità dei processi produttivi contribuiscono a sdoganare l’immagine tradizionale del cemento e a costruire nuovi possibili orizzonti. In parte già attuali e concreti, come scrive Antoine Picon nella prefazione: “Grazie all’uso combinato delle tecnologie digitali e di nuove tecniche di costruzione, nell’architettura in cemento sono ricomparse le forme plastiche. Il Phaeno Science Center di Zaha Hadid a Wolfsburg, Germania, o la Metropolitan Opera House di Toyo Ito a Taichung, Taiwan, dimostrano il ventaglio di possibilità che si offrono nuovamente ai progettisti”. Racconti e immagini si sovrappongono, in una composizione grafica dove prevale il nero, e restituiscono l’identità del cemento non come semplice materiale funzionale all’architettura ma – per dirla con Andriani – “piuttosto costruzione esso stesso”.